Le Viole

Mirella Presot Collavini

La viola odorata

Un piccolo fiore, ma con un grande passato. Simbolo di purezza, modestia, umiltà e sincerità. Il solo parlarne evoca nuvole di profumi soavi e ricordi impalpabili. E’ un fiore libero, difficile da addomesticare; si lascia cogliere dove fiorisce spontaneamente e, se coltivato, ricompenserà le attenzioni con abbondanti fioriture. La viola era conosciuta fin dai tempi più antichi nel bacino del Mediterraneo. La sua storia si intreccia con quella dell’antica Grecia e affonda le sue radici addirittura nel mito. Ovidio, nel libro V delle Metamorfosi, racconta come Proserpina stesse raccogliendo viole e candidi gigli nel momento in cui venne rapita da Plutone (quo dum Proserpina luco, ludit et aut violas aut candida lilia carpit). E di viole era anche il pascolo della ninfa Io, trasformata in giovenca da Giove, da cui Ion, parola greca che significa viola e a cui si fa risalire l’origine del nome del mare Ionio e degli Ioni, abitanti delle sue rive. Gli Ateniesi che ci tenevano a proclamare la loro discendenza dagli Ioni, non potevano che amare moltissimo questo fiore. Tanto che non v’erano altari o case in Atene che non fossero adornati di viole. Secondo Aristofane, inorgoglivano nel sentirsi chiamare “Ateniesi incoronati di viole“. Ad Atene nel 400 a.C. si vendevano mazzolini di violette agli angoli delle strade. Le usavano anche per fare pomate e tisane dimostrando di conoscerne virtù medicinali. Viole si spargevano sulle tombe dei bambini come simbolo di purezza e modestia. I Romani le chiamavano violette di marzo, la stagione della loro fioritura, e se ne cingevano il capo per dissolvere le emicranie causate da abbondanti libagioni. Plinio, nel libro 21° della sua “Storia Naturale” assicura infatti che “portare in capo delle viole composte in ghirlanda, oppure aspirarne il profumo, fa passare l’ubriachezza e la pesantezza di testa”. Le viole continuarono ad essere coltivate per tutto il Medio Evo nei giardini dei monasteri e dei castelli. Il primo trattato sulla coltivazione delle viole venne scritto in armeno, tradotto in arabo e giunto a noi nella versione in tedesco nel 904 d.C. Questo trattato contiene alcuni consigli sulla coltivazione e, in partitolare, stabilisce i tempi dei trapianti, delle annaffiature e degli altri trattamenti che devono essere effettuati tenendo conto delle influenze astrali. Per quanto riguarda la disposizione delle viole nel terremo, consiglia di piantare all’inizio di ogni aiuola una pianta di ruta, erba medicinale di cui non conosciamo l’effetto sulle viole, che comunque erano largamente usate sia per la cura del corpo che per ornare case e giardini. Nei secoli successivi, soprattutto in Francia sotto il regno di Luigi XVIIII il profumo delle viole servì per coprire gli odori poco gradevoli dovuti ad una scarsa igiene. A quel tempo c’era un tale consumo di viole che non bastarono più quelle che crescevano spontaneamente o che venivano coltivate come ornamenti dei giardini. E infatti risale proprio XVI secolo la loro coltivazione, per così dire industriale, in Provenza. Nel corso del XVIIII secolo le viole venivano coltivate in tutta l’Europa: dalla Francia alla Turchia, alla Spagna, all’Inghilterra. Al tempo della Rivoluzione Francese c’era una tale richiesta di viole che le bouquetières, che le vendevano ad ogni angolo di strada, vennero tassate. Il successo delle viole continua anche dopo la rivoluzione, quando Napoleone sposò Giuseppina Beauharnis, volle solo violette al suo matrimonio, perché era un mazzolino di viole che la bella creola portava al seno al ballo in cui l’aveva conosciuta. E furono sempre viole che le fece giungere da ogni dove, per l’anniversario del loro matrimonio. La viola ha avuto anche un ruolo politico: fu adottata dal Partito Imperiale Napoleonico quando Napoleone, noto ai suoi seguaci come Caporal Violette fu esiliato all’Elba. Quando si celebrarono i funerali di Napoleone III, tutti portavano all’occhiello un mazzetto di viole come simbolo della loro fedeltà ai Bonaparte. Parma, all’arrivo di Maria Luigia, le dedicò ciò che già si coltivava con cura nei giardini: una forma doppia della viola odorata. Maria Luigia contribuì anche alla creazione dell'”Acqua di violetta”, commissionando una formula speciale al monastero di San Giovanni. Botanicamente la si indica come Viola odorata pallida plena, ma meglio conosciuta come “Violetta di Parma”. I fiori sono doppi, di colore lavanda pallido, col centro bianco, con un profumo intenso e profondo. La sua origine è ignota. Si pensa provenga dall’Asia Minore e potrebbero essere stati i veneziani a portata in Italia durante i secoli del loro dominio laggiù. Ma si suppone anche sia originaria della Catalogna, che gli spagnoli l’abbiano portata a Napoli (ecco perché gli inglesi la chiamano Neapolitan Violet) e anche i Borboni di Napoli l’abbiano mandata a quelli di Parma. I conti di Brazzà la portarono a Udine verso l’inizio del secolo scorso. L’ascesa della popolarità e coltivazione delle viole è rapida. Da Parma a Udine, dal sud dell’Inghilterra all’est degli Stati Uniti ed anche in alcune città tedesche si coltivano e magnificano le violette.
Risalire alla radice di questa straordinaria diffusione è stata una ricerca appassionante e piena di sorprese. Attraverso apporti di archivio, vecchie pubblicazioni, testimonianze di nostalgici giardinieri è stato possibile ricostruirne, almeno in parte, la storia. Il merito del successo di questo piccolo fiore va tutto ad un sensibile ed originale botanico friulano, il Conte Filippo di Brazzà, fratello di Pietro l’esploratore e figlio di Ascanio, che visse tra Roma e Soleschiano. Si devono ad Ascanio i progetti romani per la passeggiata di San Pietro in Montorio, i giardini a fianco del Campidoglio, quelli del Pincio (con i busti che decorano i viali) e quelli di Piazza San Marco. Proprio nelle serre di Soleschiano e Moruzzo, il Conte Filippo riuscì a migliorare e perfezionare la violetta di Parma rendendola più perfetta nella forma a fiori stradoppi e di colore turchino. Questa straordinaria “grandiflora” di Udine si riproduceva nei dintorni di questa città sotto telai vetrati per essere poi spedita a Vienna e in tutto l’est europeo. Questo privilegio della flora udinese è dovuto anche a speciali condizioni di clima e del suolo. Nell’economia del Friuli questo piccolo fiore ha avuto un grande peso. Al nome Conte di Brazzà è legata un’altra varietà a fiori doppi bianchi, che all’estero per qualche tempo è stata chiamata “Swanley White” perchè è stato quel vivaio inglese a diffonderla per la prima volta sul mercato, importandola da Soleschiano ma che ha vinto con il nome “Conte di Brazzà” il primo premio della Royal Horticoltural Society di Londra il 13 novembre del 1883. Anche la Francia ha la sua regina, nel 1854 dopo una lunga e severa selezione sulle violette di Parma, si ottiene a Tolosa la “Violetta di Parma di Tolosa”. Purtroppo le variazione della moda, la smania di esotismi di questi ultimi decenni hanno fatto quasi sparire dai giardini e dai vivai le viole. Il ritorno al passato si fa tanto pressante quanto più il modernismo ha tentato di spazzare la via. Ingiustamente abbandonata, oggi la violetta sembra essere di nuovo nei giardini e sui banchi dei fioristi. Rilanciare la coltura della violetta, mi sembra un obiettivo meritevole di impegno oltre che appassionante.

Note di coltivazione

Le violette sono piante erbacee con foglie cuoriformi, vegetano nei boschi, nelle siepi, nei prati, amano terreni freschi, ricchi di humus, neutri o leggermente calcarei e le esposizioni non a tutto sole. Le viole semplici non soffrono i geli, le doppie sono più delicate e preferiscono essere protette. Il colore può essere violetto, blu, bianco rosa o porpora. Il tipo a fiore doppio lo si trova soltanto nei giardini. I fiori estivi rimangono sotto il fogliame, non hanno interesse ornamentale, ma al contrario sono fecondati e producono sementi, diversamente dai fiori primaverili, belli e profumati, ma privi di polline. Il frutto è una capsula da cui fuoriescono semi per essere disseminati dalle formiche, attratte dalla sostanza commestibile dell’apice. Durante l’estate le viole emettono un grande numero di stoloni, che consentono alle piante di perpetuarsi. Questa modalità di riprodursi è particolarmente interessante per le viole a fiore doppio, essendo l’unico modo di perpetuare la specie, poichè esse sono incapaci di riprodurre semi. I forti caldi frenano la vegetazione delle viole, ma a settembre con la temperatura fresca, riprendono vita. Settembre è anche il momento migliore per moltiplicarle. Le piantine di viole doppie vanno seguite attentamente, infatti sono facile preda dalla Cercospora violae, malattia crittogamica di forte sviluppo che produce il dissecamento delle foglie. Si combatte con irrogazioni a base di solfato di rame. Giova molto tenere le piante inzolfate, perchè lo zolfo è un buon isolatore tra le foglie e l’umidità atmosferica. Non dimentichiamoci che anche il ragnetto rosso (acaro) può provocare grossi danni, per cui è necessario trattare le viole con un acaricida oltre che con un buon insetticida.

Curiosità di coltivazione

Il celebre giardiniere di Luigi XIV: Le Quintinye scrisse un trattato di coltivazione e cita le sue violette doppie profumate delle quali alcune promosse ad “alberi”. Anche in un vecchio manuale di coltivazione della Hoepli di inizio secolo si parla di allevare le piante sopra un solo stelo ad alberetto. Il loro fusto non sarà altro che uno stolone tolto dalla sua posizione strisciante sul terreno, ma tenuto verticale mediante un sostegno.

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